Un tempo il confine dei campi era segnato con la piantumazione di gelsi. Anche per questo, una delle attività che accompagnavano la vita dei nostri contadini era l’allevamento di bachi da seta: un’importante fonte di sostegno.
Nei mesi di maggio e giugno i “cavalee” coinvolgevano dunque intere famiglie.
I bachi da seta erano posti su apposite intelaiature di graticci di canne sovrapposti, che venivano sistemati in cucina, sotto il portico e persino nelle camere da letto. Le uova dei bachi, infatti, si schiudevano favorite dal tepore.
Le larve da esse fuoriuscite, venivano alimentate con le foglie dei “murù” precedentemente triturate col “trincia-foja” (trita foglia).
Durante il loro sviluppo si doveva provvedere alla pulizia del “castello” perché il baco, per ben quattro volte, cambiava pelle.
Poi si doveva creare “il bosco”, cioè un habitat con fuscelli secchi, sul quale il baco si sarebbe arrampicato per tessere il bozzolo con un filo di seta.
Dopo circa quaranta giorni, e cioè prima della trasformazione del baco in farfalla, era giunto il momento di “catà i galett” (raccogliere i bozzoli).
I bozzoli si ponevano nelle ceste per essere consegnati alla filanda. I “gùset” invece (cioè bozzoli mal riusciti), non venivano ritirati ma comunque barattati dagli stessi contadini con lo straccivendolo, in cambio di un pezzo di sapone o di una manciata di “lisiva” cioè di detersivo.
(testo di Domenico Carozzi)