Come sono nati i dialetti? Sono nati come mezzo di comunicazione fra le popolazioni che, migrando ed insediandosi in terre o regioni diverse dalla loro provenienza, portavano il bagaglio della loro parlata che si mescolava così con la parlata locale formandone una nuova con caratteristiche ibride.
Il dialetto lombardo ed il milanese in particolare, è di radice latina mescolato con la lingua gallo-celtica.
Nel momento in cui scriviamo il dialetto va scomparendo ed anche se sopravvive sulla bocca degli anziani, il suo patrimonio si sta impoverendo rapidamente.
Uno dei motivi che ha contribuito a questo impoverimento è stato l’accantonamento di alcuni termini giudicati forse troppo rozzi o pittoreschi, nonostante esprimevano in maniera efficiente ciò che si voleva far intendere. Se per esempio la strada d’inverno è sdrucciolevole sentiamo dire in una forma di dialetto italianizzato “me se scivula”, mentre il verbo “scarligà”, così efficace, si è quasi scordato.
Un altro fenomeno che contribuisce a modificare il costume antico e le vecchie tradizioni è la massiccia immigrazione che pone la necessità, per comprendersi, di unificare la parlata.
Due sono le cause o fenomeni che hanno determinato la scomparsa di alcuni vocaboli nel linguaggio corrente odierno:
1) alcune parole sono state sostituite da altre somiglianti la lingua italiana;
2) il loro disuso è dovuto alla scomparsa dei vecchi strumenti agricoli.
Ecco qualche esempio:
bechè (macelar) macellaio
ufelèe (pastisè) pasticciere
bagàtt (casulàr) calzolaio
masciadro (mercont) mercante
spisiè (farmacista) farmacista
ciciurlina (salsiccia) salsiccia
giambù (prosciuto) prosciutto
pumm de tera (patati) patate
surbett (gelato) gelato
panett (fasulett) fazzoletto
supresa (fer de stir) ferro da stiro
bucàa (vasino) vaso da notte
lutùvia (curiera) corriera – pullman
sibrètt (sciavatt) ciabatte
lapes (matita) matita
mentre per: èrpes (erpice), scighess (falcetto), bàger, moeia, bernasc, bufett, ecc., trattandosi di arnesi ormai “fuori uso”, è scontata la dimenticanza dei loro nomi.
Questi invece sono altri termini che ci sembra comunque simpatico ricordare:
pugioeu (balcone), lòbia (terrazzino), cardega (sedia), gàlici (solletico), sùree (solaio), resegaúsc (segatura), magiostra (fragola), sgiafa (sberla), lisiva (detersivo), scisciú (ciuccio), burìgia/burigioeu (pancia/pancino), gandulìtt (nocciolini), gandùla (nocciolo), fregiuu (raffreddore), scighera (nebbia), buàscia (sterco di mucca), balòss (furbo), brusaoeu (foruncolo), grigul (briciole), erburinn (prezzemolo), biadràva (barbabietola), rüfa (forfora), barlafuss (buono a nulla), bardulòc (maggiolino), bestross/besasc (pasticcione/pasticcio), gibúll (bernoccolo), gòss (goloso, gozzo), pedrioeu (imbuto), fisa (spicchio), giungiulìtt (azzeruolo), casü (mestolo), gúgia (ago), gúgì (spillo), gipà (cucire a macchina), busciú (tappo in sughero), cifú (comodino), surà (raffreddare, intiepidire), scurlìss (scuotersi), bûscì (vitellino), mundioeula (coppa – inteso come insaccato), pìnula (pastiglia), firàcul (faville), ruera (spazzatura), buroej (caldarroste), starnuscia (il bagliore causato dai lampi), strigoss (scaltro, furbo), sifulà (fischiare), quadrell (mattone), picaj (picciolo), besinfi (gonfio), stacheta (chiodo), me sudìss (mi sembra)…
(testo di Domenico Carozzi)