Nel mese di giugno il granoturco risultava essere ormai cresciuto. Era dunque giunto il momento “de regulsà” (rincalzare la terra attorno ai fusti delle piante con la zappa) e di concimarle una ad una. In precedenza il concime era costituito dalla “ganga”, cioè il liquame (maleodorante) del pozzo nero, soppiantato in seguito dal solfato.
A queste operazioni, verso la fine di luglio seguiva la cimatura delle piante, in modo che le pannocchie venissero maggiormente rinvigorite dalla pianta stessa.
Le parti staccate dalla cimatura erano utilizzate come foraggio. Anche le foglie del granoturco subivano lo stesso trattamento, anche perché venivano staccate per permettere alla pannocchia di maturare, essendo meglio esposta alla luce del sole.
Le prime foglie esterne, quelle più grosse, costituivano il giaciglio per gli animali della stalla, mentre quelle interne, più piccole, una volta fatte seccare, si usavano per imbottire i materassi, sostituiti in seguito, verso la fine degli anni Quaranta, con i materassi decisamente più soffici “de pena” (piuma di gallina).
Alla fine di settembre “ul furmentun” si presentava maturo.
Il contadino provvedeva così alla raccolta, staccando le pannocchie dal fusto (detto “mergasc”) e riempiendo la cariola o il gerlo che venivano conseguentemente scaricati sul carretto.
Generalmente le pannocchie venivano portate all’asciutto, sotto il portico di casa, in attesa di subire la spannocchiatura, chiamata anche scartocciamento.
Bisognava dunque liberare le pannocchie dalle foglie che la ricoprivano: era un’operazione che coinvolgeva tutti, donne, uomini e bambini, che venivano anch’essi muniti di un arnese detto “cavigeu”, una specie di grosso ago, tenuto al polso con un filo di spago.
Le foglie però non si toglievano a tutte le pannocchie perché venivano girate anche all’indietro, così da permettere di poterle legare tra loro e formare dei mazzi che venivano appesi sotto il porticato.
La spannocchiatura, nonostante fosse un lavoro lungo, era per molti occasione di stare insieme, di svago, di socializzazione e, soprattutto, di mille pettegolezzi.
Le pannocchie, divise dagli “scartoss”, dovevano poi essere sgranate.
Veniva allora usato uno sgranatore a manovella (“grata furmentun”), che separava i chicchi di granoturco dai tutolo (“ul mulìi”), un ottimo combustibile, adatto per il fuoco del camino o della stufa, che veniva attizzato con i “mergasc”.
I chicchi di granoturco venivano stesi per l’essicazione sotto il portico, lungo i marciapiedi e persino sul sagrato, e di tanto in tanto dovevano essere girati con il rastrello.
Una volta essiccati, i chicchi venivano passati al setaccio, messi nei sacchi e portati al mulino per essere macinati. Naturalmente, i chicchi “di scarto” non venivano sprecati, perché costituivano alimento per gli animali.
Poi, anche per questo lavoro è subentrata la macchina moderna, che coi suoi giganteschi dentoni anteriori, si fa largo tra le file di granoturco lasciando dietro di sé il vuoto in breve tempo.
(testo di Domenico Carozzi)