Nonostante la miseria, il contadino trovava sempre la possibilità di allevare un maiale che veniva macellato nei mesi freddi, a novembre o dicembre, a seconda della necessità e delle esigenze alimentari della famiglia.
Il macellaio era un uomo che praticava questo mestiere a domicilio, andando di cortile in cortile. Quando di buon mattino giungeva armato di affilati coltellacci, le donne erano già intente nel preparare secchiate d’acqua bollente ed il contadino aveva predisposto la carrucola (sotto il portico, vicino alla stalla), sulla quale “ul purcell” veniva appeso a testa in giù.
Durante le varie fasi di lavoro il macellaio veniva aiutato dal contadino e dai suoi familiari.
Tra struggenti grugniti il maiale veniva sgozzato. Il sangue che colava a fiotti, veniva raccolto: bollito diventava solido e quindi lo si poteva friggere (generalmente con le cipolle).
Poi il maiale veniva coricato su una grata o una scala a pioli e gli si versava addosso l’acqua bollente per raschiare le setole dalla pelle. Da ultimo, una volta squartato e tagliuzzato, veniva lavorato in un locale rustico.
Del maiale non veniva buttato via niente: persino le budella erano utilizzate per insaccare salami e salamini impastati precedentemente nella “marna”.
Tra le varie parti, il codino, le orecchie, il muso, le cotenne e le costine costituivano ingrediente per quel piatto tipico chiamato “casoeula”.
Al termine della giornata, oltre al lardo, alla pancetta e alle parti grasse, che venivano usate sia come condimento per la minestra e al “pumiaa”, che come unguento (la sungia), si contavano numerosi salami, salamini (detti cigutitt), coppe, mortadelle di fegato, vaniglia, qualche “bogia” e il salame più lungo, chiamato “salsisù”.
In via Vittorio Emanuele, nel cortile Massironi, fino ai primi anni Settanta esisteva un macello nel quale operava Carlo Passoni, sempre attorniato da validi aiutanti e da un’allegra brigata di amici.
Anche in via Ponti esisteva fino a pochi anni fa la ditta Baraggia che macellava numerosi maiali con metodi molto più moderni.
(testo di Domenico Carozzi)