Un tempo, come viene riferito anche in altra parte di questo sito, i nostri cortili venivano identificati con facilità perché ognuno aveva un nome. Questo nome veniva attribuito anche a seconda delle caratteristiche delle persone che vi abitavano o perché in quel luogo si trovava un negozio o un laboratorio nel quale si svolgeva un determinato tipo di lavoro.
In piazza Umberto I (ora piazza della Repubblica) c’era anche la “curt del selè”, chiamata in questo modo perché vi si trovava una bottega artigiana nella quale lavorava un sellaio. Questo cortile era in gran parte abitato da una discendenza dei Baio.
Nella storia di questa famiglia figurano, tra gli altri, i fratelli Felice e Pietro. Quest’ultimo, sposato con Emilia (della Milina) emigrò ad Arcore mentre Felice, sposato con Liduina (detta Ina) praticava – come detto – il mestiere di sellaio nella bottega situata sulla destra dell’androne del cortile, dove ora si trova la sartoria. Pima di questo vi si trovava il “Mini Casinò” e, ancor prima, il laboratorio del corniciaio.
Felice, dalla sua prole numerosa (dieci figli) ebbe in Cesare il suo erede continuatore che praticò il mestiere lavorando cuoio e pelli per selle e finimenti per cavalli con la scienza del buon tempo antico fino a 70 anni (1979).
All’interno dello stesso cortile, sulla parte sinistra, oltre ad una falegnameria, si trovava un laboratorio gestito da Riccardo Baio, fratello di Cesare che lavorava i teloni per la copertura dei camion.
All’esterno dell’androne, sempre sulla parte sinistra, vi era Paolo, detto “Paul del Castell” ovvero “ul socurè” sarebbe a dire lo zoccolaio. Il figlio Achille in seguito aprì un calzaturificio in un negozio situato di fronte alla chiesa dei santi Gervasio e Protasio.
Più a sinistra invece si trovava una drogheria gestita da Ambrogio detto “Ul drughè”.
Maria Baio, anch’egli figlia di Felice e quindi sorella dei sopraccitati Cesare e Riccardo, sposò Tramonto, conosciuto in paese perché in piazza aveva una bottega nella quale esercitava il mestiere di barbiere.
(testo di Domenico Carozzi)