Gli aspetti religiosi di un tempo, ormai cambiati, risultano essere veramente numerosi. Infatti, dal 1965, e cioè in base alle disposizioni dettate dal Concilio Ecumenico Vaticano II, anche nella nostra parrocchia si sono registrati diversi cambiamenti di forma e di atteggiamento piuttosto evidenti.
Sino ad allora, ad esempio, le funzioni liturgiche venivano celebrate in latino ed il sacerdote, in riferimento all’assemblea, era rivolto di spalle.
E’ quindi dal Sacrosantum Concilium che la disposizione dell’altare assume la posizione frontale, cioè quella attuale (con i lavori di rifacimento, sono state rimosse anche le balaustre, onde allargare il presbiterio e renderlo più aperto verso i fedeli).
Nel contesto di quegli anni, vi è stata anche la semplificazione degli arredi liturgici e dei paramenti sacerdotali. Sono infatti scomparsi il “tendone” che si issava dietro l’altare (denominato “muschett” o padiglione) e alcuni capi di vestiario del celebrante come il manipolo e le funicelle.
Se una serie di cambiamenti e di nuove disposizioni sono così pian piano subentrati, non bisogna dimenticare alcune usanze che sottolineavano, con una gestualità tanto semplice quanto espressiva, una fede veramente radicata.
Uno degli atteggiamenti più diffusi di quel tempo, segno evidente di rispetto e sacro timore di Dio, era, ad esempio, per le donne, l’usanza (o l’obbligo) di portare un copricapo, costituito per la maggior parte dei casi da un velo o da un foulard. In chiesa, inoltre, la disposizione delle persone era piuttosto ben definita: donne da una parte e uomini dall’altra.
Tra gli altri ricordi, c’è da menzionare il riscaldamento che veniva erogato con stufette sparse per tutta la chiesa, alimentate a gas e la raccolta delle offerte con cui si pagava l’uso della sedia e che venivano depositate in un sacchetto che pendeva dall’estremità di un bastone.
Prendendo invece in esame alcune festività del calendario liturgico, tornano alla memoria quei gesti che, sino a qualche tempo fa, hanno caratterizzato la vita dell’intera comunità cristiana.
La prima festa dell’anno, tra le più importanti e attese, soprattutto dai bambini, era l’Epifania. Una volta, infatti, lo scambio dei regali non era in uso il giorno di Natale. I doni, in verità molto poveri, perché costituiti da qualche mandarino e da una manciata di frutta secca, venivano portati dai Re Magi. I bambini, al massimo, avevano la grande soddisfazione di ricevere una bambola di pezzo o un giocattolo di legno costruito artigianalmente.
In gennaio un’altra festività un tempo sentita era la ricorrenza di San Mauro (15), durante la quale anche molti uomini dei centri vicini giungevano in paese, avvolti da pesanti mantelli neri (tabàr), per poi finire in qualche trattoria. Per l’occasione, venivano proposti alcuni piatti tipici come la casoeula e la buseca.
Due giorni dopo, si festeggiava Sant’Antonio Abate con un gesto che, tra l’altro, ancora oggi viene ripetuto in qualche paese della Brianza: dopo la S. Messa delle ore 8, il sacerdote era solito dirigersi sul sagrato per la benedizione degli animali. Chi era nell’impossibilità di portare gli animali, approfittando del rito propiziatorio, si faceva benedire una manciata di sale che, in segno di protezione, veniva poi mescolata al cibo dato al bestiame.
Nel giorno di Sant’Agnese (21), patrona della gioventù, molti era soliti festeggiarla coi turtei.
Il 2 febbraio (Purificazione di Maria), ricorre il giorno della candelora. Durante la Messa i fedeli offrivano al sacerdote le candele precedentemente acquistate. Ecco perché questa festività era denominata anche “Madona de la scririoeula”: il termine dialettale scirioeula deriva, appunto, da cera.
Il giorno dopo veniva ricordato San Biagio, protettore della gola. Una delle usanze in voga era quella di conservare un pezzo di pane il giorno di Natale e consumarlo a San Biagio. Un gesto che oggi ancora si ripete, forse solo per interessi commerciali, considerata la svendita generale dei panettoni natalizi. Sempre a San Biagio, la tradizione vuole che, dopo la Messa, si “baci la gola”, un modo di dire che spiega il gesto di benedire la gola appoggiandola tra due candele incrociate.
Il 19 marzo, San Giuseppe, era una festività molto sentita, tanto da sospendere ogni attività lavorativa. In chiesa, davanti alla statua di San Giuseppe che si trovava sul fianco dell’altare della Madonna, per devozione, venivano accesi numerosissimi ceri.
Durante la Settimana Santa, e precisamente il Venerdì di Passione, era usanza accantonare le uova (di gallina), contrassegnandole con il nero del “stagnà” (paiolo). Le uova venivano in seguito consumate da chi doveva raccogliere le foglie dei gelsi per i bachi da seta. Le uova del Venerdì Santo si ritenevano benedette e, quindi, di buon auspicio.
Durante il mese di maggio e per tutta l’estate erano frequenti le processioni nei campi, durante le quali il sacerdote benediceva la terra per invocare la protezione del raccolto. Nel periodo della fienagione era anche usanza bruciare l’ulivo benedetto e suonare le campane per scongiurare l’arrivo del temporale e della grandine. Il mese di maggio era caratterizzato dalla devozione alla Madonna che trovava espressione soprattutto nella recita del rosario (in chiesa tutte le sere, mentre l’ultima domenica davanti alla grotta della Madonna).
Nella liturgia del mese di giugno avevano grande importanza la festa del Corpus Domini e quella di San Pietro e Paolo. Nel giorno del Corpus Domini si svolgeva una solenne processione accompagnata dai Confratelli del Santissimo Sacramento, dalle Figlie di Maria e dalle Consorelle: tre importanti associazioni di carattere religioso.
Nel mese di settembre, durante la processione della festa patronale, toccava invece ai giovani di leva portare a spalla la statua della Madonna.
Nel mese di dicembre, il giorno dell’Immacolata era particolarmente festeggiato dalle Figlie di Maria.
A Natale infine, si era soliti, al suono del Santus della Messa solenne, prendere il ceppo dal camino e mettere la sua cenere nello scaldino, con la quale, il giorno dopo (S. Stefano), si sarebbero tracciate le croci nei campi, per propiziarsi generosi raccolti.
Queste, in sintesi, sono alcune usanze di carattere religioso un tempo in voga. Se a volte potrebbero sembrarci riti che sfiorano forme scaramantiche o di superstizione, dovremmo considerare i tempi, la mentalità e soprattutto le buone intenzioni di chi, con fede, ha sempre creduto nella forza e nell’aiuto dello Spirito Divino.
(testo di Domenico Carozzi)