Generalmente, nel mese di giugno, il grano, già seminato a larghe braccia su di un terreno precedentemente preparato, giunto a maturazione veniva raccolto.
Un tempo, anche il lavoro di “segà ul furment” si svolgeva completamente a mano.
Il contadino passava dunque intere giornate a mietere il grano e, sotto il sole cocente, falciava le spighe a schiena ricurva.
La fatica del duro lavoro, che aveva sempre inizio di buon mattino, veniva interrotta solo dal pranzo di mezzogiorno consumato sul posto, dopo il quale il contadino si concedeva una piccola pausa riparandosi all’ombra di una pianta.
Al termine della lunga giornata lavorativa, i covoni di spighe venivano sistemati in attesa della trebbiatrice, un macchinario che veniva noleggiato per l’occasione, nelle prime settimane del mese successivo.
La trebbiatura era un lavoro che coinvolgeva numerosi addetti. Anticamente si svolgeva percuotendo il grano con dei bastoni snodati, per separare il chicco dalla spiga: per questo motivo l’operazione si chiamava “batt ul furment”.
Quel mastodontico marchingegno di cinghie e pulegge, sin dal suo arrivo, catturava anche l’attenzione e la curiosità di numerosi bambini. Tutt’intorno, gli uomini forzuti senza tregua si davano un gran daffare, ognuno con la propria mansione: chi passava i covoni, chi li depositava nella trebbiatrice, chi raccoglieva nei sacchi i chicchi di grano che fuoriuscivano da un’imboccatura, chi scaricava le balle di paglia che venivano pian piano espulse e legate col filo di ferro e chi infine sistemava i preziosi e pesanti sacchi.
Tra un immenso pulviscolo sparso nell’aria, il lavoro non conosceva sosta. Ma, a fine giornata, i volti dei contadini, anche se sporchi, sudati e segnati dalla fatica, esprimevano la soddisfazione di aver messo a frutto l’intero lavoro di un’annata: c’era la consapevolezza di essersi guadagnati il pane quotidiano.
Dopo i lavori di mietitura e trebbiatura, il contadino affrontava un periodo di relativa calma, dedicandosi ad altre faccende meno impegnative, in attesa di riprendere gli sforzi ponendo mano al granoturco.
Intorno agli anni Sessanta, l’arrivo della mietitrice meccanica segnò il passo verso un maggior progresso.
Quegli immensi campi e quelle interminabili giornate, assumevano così una dimensione più razionale.
(testo di Domenico Carozzi)