Un tempo i nostri padri si divertivano con giochi molto semplici, ma non per questo meno belli degli attuali e sofisticati passatempi computerizzati.
I classici giochi di un tempo risultavano essere: il gioco con la bambola, il salto con la corda, le biglie (di terracotta o vetro), le figurine, la palla (si gettava contro il muro mentre si compiva una serie di gesti come ad esempio il battimani, la giravolta e si canticchiavano cantilene, badando di non lasciarla cadere per terra).
In cortile si giocava a nascondino, a rialzo e a te ghe l’è, mentre sul sagrato della chiesa ci si divertiva giocando a bandiera.
D’inverno invece era in voga la scarlighera, una sorta di scivolo sul ghiaccio.
Durante le feste degli oratori era di moda il salto dell’oca, la gimkana e la corsa coi sacchi.
Vi era poi mondo, la roeula e maj. Per giocare a mondo si disegnavano per terra delle caselle nelle quali i giocatori, a turno, dovevano gettare un sasso e andarlo a prendere saltellando con un solo piede senza calpestare le righe chiamate confini. Nel secondo gioco si doveva prendere un bastone e un pezzo di legno cilindrico appuntito alle estremità. Bisognava lanciare la roeula il più lontano possibile colpendola col bastone e gli avversari dovevano afferrarla al volo o respingerla coi piedi. Nel primo caso le squadre invertivano i ruoli, mentre nel secondo, ci si avvicinava alla base. Vi era anche un sistema di punteggio calcolato in base alla distanza che intercorreva dal punto di lancio ad un’area precedentemente stabilita.
Il maj invece consisteva nello sbalzare (da una certa distanza), con dei sassi, una pietra o un barattolo sovrapposti a un’altra pietra.
Meno pericolosi di quest’ultimi vi erano poi i giochi: un-due-tre stella, i passi degli animali, le belle statuine, palla avvelenata e salta cavallina. Infine ricordiamo spana mur, un gioco che consisteva nel lanciare contro il muro i tappi a corona delle bottiglie (agrèta) o addirittura i “dès ghei”. Sormontare o avvicinare la pedina dell’avversario di almeno una spanna, significava aggiudicarsela.
(testo di Domenico Carozzi)